Chiacchierando con Alessandro Medici, dell’azienda Medici Ermete, incontriamo e conosciamo la quinta generazione di questa famiglia di viticoltori. Figlio d’arte, Alessandro orienta da subito i propri studi a questo lavoro: ha sempre saputo di voler diventare produttore di vino, dice, e nonostante queste possano sembrare solo frasi fatte, per lui è stato davvero così.
«A tredici anni sfogliando la rivista Wine Spectator con in copertina Angelo Gaja chiesi a mio padre Alberto chi fosse quel signore e come avrei potuto fare per guadagnarmi anch’io quella copertina. “Bisogna lavorare parecchio” fu la risposta che ottenni. Inizia così la mia passione per il mondo del vino. Accompagnata dalla lettura di tutte le riviste di settore».
Fare vino richiede esperienza e conoscenza, così dalla facoltà di Scienze Gastronomiche a Pollezo, questo giovane produttore ricava una visione a tutto campo sul mondo dell’enogastronomia e un’esperienza formativa in termini di approccio olistico ed omnicomprensivo alle materie del cibo e del vino, attraverso le lenti della chimica, della storia e della filosofia.
«Sono stati inoltre molto formativi tutti quei viaggi che mi hanno portato a contatto con culture diverse aiutandomi a comprenderle e a conoscerle: per vendere all’estero è molto importante avere un buon prodotto e saper affrontare i mercati in modo ragionato, rispettando le differenze culturali dei partner con cui si lavora.
Si potrebbe considerare il vino come mediatore culturale, visto l’approccio differente anche nel modo di guardare al vino stesso?
«La risposta è assolutamente sì, tanto il vino quanto il cibo. Il nostro vino è il Lambrusco, prodotto da un vitigno autoctono allevato unicamente nella nostra zona, ed è straordinario esportare il nostro territorio. Dico sempre che l’enogastronomia è uno dei settori più vincolati al territorio: non è possibile produrre lo stesso vino delocalizzando un ettaro di vigna di Lambrusco altrove. Quando esportiamo questo vino, con il nostro brand sull’etichetta, stiamo nei fatti esportando il territorio e ne stiamo divulgando la conoscenza in zone del mondo che sono abituate a prodotti completamente diversi. Il vino è certamente uno straordinario mediatore culturale.
Ho sempre considerato il vino come un qualcosa di magico e prestigioso; c’era una pianta che produceva tanti grappoli e tante persone li raccoglievano. C’erano, dopo diversi mesi di attesa, un prodotto ed una bottiglia. Sembrava davvero un processo straordinario e l’enologo e il nonno mi sembravano i maghi, capaci di creare dentro dei calderoni, come faceva il Mago Merlino, la trasformazione del mosto in vino. Erano solo autoclavi, ma da piccoli tutto questo sembrava fantastico».
Crediti: Foto Wine by Road trip with Raj, da Unsplash